interazione

Esempio di interazione

Volendo far convivere all’interno della nostra riserva il maggior numero di specie, com’è auspicabile in una realtà ben gestita e rispettosa dell’ecologia nel più ampio senso, dovremo prevedere il “disturbo” che una specie arreca all’altra.

In questo contesto è ben comprensibile l’azione di predazione dei carnivori mentre, meno lo è, la possibile convivenza degli ungulati o della selvaggina minore.

Nella nostra ipotesi di valutazione, per il momento ci limiteremo a considerare gli ungulati.

Come sappiamo, il cervo è la specie che necessita dell’areale più ampio. Nei suoi acquartieramenti stagionali fruisce e necessita di estensioni minime che ben si evidenziano al tempo della caccia, quando ci riesce il colpo fortunato in una zona in cui non s’era visto per la rimanente parte dell’anno. L’estensione di questo areale potrà essere, ben si capisce, influenzata da fattori di disturbo come un turismo eccessivo e rumoroso, cani messi a guardia delle greggi o quant’altro. Appare come minimamente sufficiente, a diversi esperti di mestiere, un’estensione di 5.000 ettari, senza riguardo per il numero di cervi presenti e che verrà stabilito da noi in relazione alla tipologia ambientale predominante. Ove questa estensione non fosse nella nostra disponibilità dovremo intraprendere azione di sensibilizzazione nei confronti della-e riserve attigue per una comune gestione finalizzata. La estensione cennata è pertanto l’unico dato certo portato in questa ipotesi di gestione. Di dati meno certi possiamo disporre andando a prevedere le ulteriori specie da immettere o valorizzare. In questo contesto, dovremo tener presente che il maggiore dei cervidi è pure quello che disturba maggiormente i congeneri, mentre per quanto riguarda il camoscio l’influenza è minore e per il muflone vi potrà essere un condizionamento alimentare. Altra previsione possiamo adottare per il cinghiale, onnivoro e quindi “predatore” soprattutto di neonati e nidiacei ma caratterizzato da un rapido accrescimento. Tralasciamo quindi il muflone d’incremento più lento come pure il daino di cui, tra l’altro e da noi, è vietato il ripopolamento.

A questo punto consideriamo che un cervo presenta una vicarianza ovvero un’alternativa paragonabile a cinque caprioli, ovvero a quattro camosci. Motivo questo che ne ha fatto fortemente osteggiare l’espansione così come gli innegabili danni che produce a campi e boschi. D’altro canto, per ottenere una popolazione assestata, avremo bisogno d’una presenza minima di una dozzina di individui nel solo comprensorio considerato.

Ora, presumendo d’avere una riserva meravigliosamente espansa dal contrafforte alla montagna ed altrettanto equilibrata nelle doti arboree, avremo a disposizione gli ambienti più consoni per ognuno dei selvatici considerati. Dovremo soltanto farli coesistere traendone i maggiori benefici con il minimo danno. In questo senso andrà quindi limitata la presenza tanto del cervo quanto del cinghiale.

Avremo quindi l’opportunità di prevedere presenze pressappoco così scalettate, partendo da un’ipotesi di densità pari al “controvalore” di 10 caprioli ogni 100 ettari e dove per reddito si intende il prelevo dell’incremento annuale su popolazione assestata.

Specie

Densità virtuale

consistenza

Occupaz virtuale

Reddito capi

Camoscio

7,5:100

160

2140

29 (18%)

Cervo

2,5:100

12

480

3-4 (30%)

Capriolo

10:100

214

2140

71 (33%)

Cinghiale

2,5:100

6

240

15 (71%)

Con un indice di densità venatoria di un cacciatore ogni 60 HA otteniamo che ognuno degli 83 cacciatori recupererà poco meno di un capo e mezzo. Se pensiamo che non sono rare le riserve ove i prelevi avvengono in ragione di un capo ogni quattro cacciatori con indici di densità 1:80 possiamo avere  un’idea dell’immenso potenziale oggi inutilizzato per incompetenza, pressione venatoria eccessiva ovvero ingordigia, bracconaggio, turismo ma non da ultimo, una anacronistica caccia con cani da seguita.

Pensaci, Giacomino.