"Scolpite nella roccia" |
IL DELIRIUM ARTEMISIUM
"Manet sub love frigido / venator, tenerae coniugis
immemor".
Lo sapeva anche il poeta latino Orazio che il cacciatore,
quando è stagione, non bada ai rigori dell'inverno e si scorda persino della
tenera mogliettina.
La caccia ha, infatti, una presa irresitibile per colui che
è afflitto da quello che potremmo definire "delirium artemisium",
la frenesia, cioè, indotta da Artemide, dea greca della caccia.
Potete distinguere colui che è affetto da codesto morbo, semplicemente constatando come il soggetto in questione si estranei da ogni altro rapporto di umana relazione diverso dalla caccia e come egli subordini incondizionatamente ogni altra sfera di beni a quella dell'attività venatoria.
Insomma, il
tale che è afflitto - o beneficiato, a seconda dei punti di vista - dal
delirium artemisium, non parla d'altro e non pensa ad altro che alla caccia e,
perciò stesso, si rivela noioso a tutti coloro che gli sono vicini e non
condividono la medesima passione.
Siccome mia moglie ed i miei amici hanno constatato, in me, un accentuarsi di queste tendenze, ne deduco che il morbo venatico, anziché affievolirsi con l'età, tende invece a farsi più virulento.
Non esiste al
mondo una mania ossessiva che prenda la gente in tal misura ed è per questo che
la caccia non è uno sport, ma un'attività in grado di far emergere - a seconda
dei casi - il meglio ed il peggio di ciascuno di noi.
Il meglio se l'impianto di base del soggetto è buono; il
peggio se l'individuo è, in linea generale, propenso a fare compromessi con la
legge e soprattutto con la propria coscienza.
I migliori cacciatori sono infatti anche i migliori
cittadini, così come è vero il contrario. Ecco dunque il motivo per cui questi
settori richiedono leggi severe e, soprattutto, rispettate. In caso contrario
avviene, per la caccia, quello che il Procuratore aggiunto di Udine, Giancarlo
Buonocore, ha detto in un'intervista, parlando della corruzione nel periodo di
tangentopoli. "Certe prassi erano talmente diffuse, talmente accettate
in un certo ambiente - sostiene il Procuratore - che si era perso
completamente il concetto di liceità, anche etica. E' come se il magistrato
fosse una specie di terzo incomodo che va a fare delle valutazioni assolutamente
fuori luogo in un ambiente che ormai ha delle prassi, degli usi e costumi così
consolidati, da dissipare ogni ombra di illiceità, di i/legalità, di moralità,
di malcostume”.
Allo stesso modo, in certi ambienti venatori, il fatto di
agire contro la legge è divenuto un'impunita abitudine e l'episodico controllo
del guardiacaccia è visto come un'inammissibile ingerenza.
Quando i controlli si fanno c'è dunque chi si inalbera,
chi si scandalizza e, addirittura, nelle persone dai labili freni inibitori, chi
spara al guardiacaccia.
Tutto questo è stato facilitato dal fatto che, per diversi
secoli, la fauna selvatica è stata considerata "res nullius", tant'è
vero che il reato di bracconaggio non esiste nel diritto romano e la stessa
parola non è latina, bensì deriva da una voce barbarica altotedesca.
Il codice di Giustiniano, così meticoloso su tutti i
delitti previsti e punibili, non fa alcun cenno al reato di caccia abusiva ed il
giureconsulto Gaio, in "De adcquirendo rerum dominio",
ribadisce il principio che tutti gli animali selvatici divengono di proprietà
di coloro che li catturano.
Fu solo con lo stabilirsi della legislazione longobarda e
franca che la caccia, anche in Italia, fu parte degli "iura
regalia" e la selvaggina divenne di pertinenza del fondo.
Principio rimasto poi vivo in molti paesi d'Europa e che invece da noi, con la codificazione napoleonica e con quella albertina, decadde per far nuovamente spazio al concetto di "res nullius".
Tutto ciò
ebbe fine con la legge 698 del 1977, che per la prima volta defrnì la fauna "proprietà
indisponibile dello Stato".
Solo allora è iniziato un lento ma progressivo miglioramento della situazione faunistica italiana.
La nostra
regione è rimasta invece bloccata fino al 31 dicembre del 1999, quando la nuova
legge sulla caccia ha cercato di dare alle cose una sterzata positiva,
suscitando la ribellione di quanti nel frattempo avevano perso - come diceva il
Procuratore Buonocore parlando dei tangentisti "il concetto di liceità,
anche etica".
Ce la faremo a diventare veramente moderni ed europei,
oppure resteremo ancora ancorati al palo di chi ritiene che certi comportamenti
e certe forme di caccia siano da mantenere perché ritenuti
"tradizionali"?
La risposta sta nelle mani di chi siede in Regione.
Marco Buzziolo